vedi anche pagine libro “trasformazioni e produzioni agroalimentari: capitolo 3, capitolo 5 e capitolo 8

Sicurezza dei prodotti alimentari

La sicurezza degli alimenti è messa a rischio da diversi fattori.

Tralasciano gli aspetti fraudolenti, in cui l’operatore deliberatamente commercializza prodotti adulterati o in cattivo stato di conservazione, gran parte delle patologie trasmesse dagli alimenti sono dovute alla mancanza di adeguate procedure igienico sanitarie adottate nella loro preparazione.

E’ interessante osservare che problemi di natura sanitaria, legati all’ingestione di alimenti, non colpiscono solo Paesi in via di sviluppo, ma anche nazioni dove le condizioni igieniche sono ritenute ottime. I microrganismi sono, infatti, particolarmente adattabili all’ambiente e sempre in competizione tra di loro, per cui, mentre nei paesi del terzo mondo le problematiche di tipo sanitario sono spesso legate a contaminazioni di tipo orofecale, nei Paesi sviluppati si manifestano malattie dovute a patogeni che sopportando il freddo o il caldo si sviluppano sbaragliando la concorrenza in prodotti refrigerati o riscaldati.

Un altro aspetto di contaminazione, oggi sempre più problematico, è legato all’utilizzo di prodotti chimici nelle produzioni vegetali e animali che vengono poi ritrovati in tracce negli alimenti che arrivano nelle nostre tavole. Ci sono poi sostanze, come gli additivi, che sebbene non siano considerabili contaminanti non possono essere neanche considerate come sostanze che naturalmente sarebbero presenti nel prodotto al consumo.

Possiamo distinguere le contaminazioni degli alimenti in due categorie principali:

  • Contaminazioni chimiche
  • Contaminazioni biologiche

Non è semplice, come può sembrare, parlare di contaminanti chimici negli alimenti.

Le sostanze chimiche che troviamo in un alimento (spesso molto complesse) hanno, infatti, diversa provenienza, in particolare:

  • Sostanze endogene (tipiche dell’alimento o delle sue materie prime)
  • Sostanze legate al metabolismo microbico
  • Sostanze prodotte da reazioni chimiche conseguenti processi lavorativi (cottura, riscaldamento, essicazione ecc.)
  • Sostanze esogene (legate all’ambiente, contenitori, aggiunte direttamente o indirettamente dall’attività dell’uomo)

Possiamo quindi intuire che la distinzione tra contaminanti chimici e biologici non è così manifesta visto che anche le sostanze prodotte dal metabolismo microbico sono a tutti gli effetti delle sostanze chimiche (ciò risulterà evidente quando parleremo delle tossinfezioni).

Quanto appena affermato viene spesso tralasciato da certi fautori di un’alimentazione “naturalista” che sostengono che gli alimenti non devono avere nulla a che fare con la chimica. Nella realtà non c’è nulla di più “chimico” di un alimento, che nasce proprio grazie a complesse trasformazioni biochimiche, termiche e che cambia la sua composizione nel tempo.

D’altro canto bisogna sempre tenere presente che le logiche di profitto possono spingere diversi operatori ad un abuso di prodotti chimici ai fini di aumentare la produttività e la conservabilità degli alimenti a scapito della qualità e della salubrità degli stessi.

Solo la conoscenza e la valutazione a 360° degli aspetti legati alla trasformazione dei prodotti può consentire ad un operatore di valutare con spirito critico le voci che arrivano da una parte o l’altra, ed in particolare tenere sempre presente che:

  • Non c’è nulla di più naturale e biologico di una tossina batterica.
  • “E’ la dose che fa il veleno” (Paracelso.)
  • I prodotti chimici hanno sempre un costo e implicazioni di natura salutistica.

In altre parole è sempre necessaria una valutazione dei pro e contro di qualsiasi operazione.

Sostanze chimiche esogene presenti negli alimenti

  Limitando il discorso alle sostanze che derivano dall’azione umana possiamo distinguere:

  • Additivi alimentari
  • Contaminanti chimici

Additivi alimentari

Poiché gli additivi alimentari vengono aggiunti volontariamente ai prodotti sono possono essere considerati dei veri e propri contaminanti.

Tratteremo l’argomento additivi nell’unità relativa alla conservazione degli alimenti, in questo contesto vale la pena segnalare come alcune sostanze utilizzate come additivi possano essere in alcuni casi presenti negli alimenti come contaminanti. Un tipico esempio è costituito dai nitrati che oltre ad essere aggiunti come conservanti possono essere presenti come residui di fertilizzanti utilizzati nelle pratiche agricole. Per gli additivi alimentari diventa particolarmente indicativo il discorso rapporto rischi/benefici fatto nel paragrafo precedente.

Contaminanti chimici

Possiamo definire come contaminanti chimici quelle sostanze che arrivano accidentalmente all’alimento a seguito di operazioni dirette o indirette compiute lungo la filiera alimentare.

In quest’ambito possiamo trovare principalmente:

  1. Fitofarmaci(pesticidi) sono sostanze per lo più di natura organica che sono impiegati nelle pratiche agricole per contenere lo sviluppo di infestanti di natura animale o vegetale; possono avere effetti di tossicità acuta o a lungo termine.

Le corrette pratiche agronomiche oltre a ridurre al minimo l’uso di queste sostanze dovrebbero sempre garantire che l’ultimo trattamento abbia un intervallo di sicurezza tale da garantire che la sostanza si degradi prima di arrivare sulla tavola del consumatore.

  1. Zoofarmaci: si tratta di medicine che sono state date agli animali prima della loro macellazione, in particolare possono essere antielminti (contro malattie dovute a vermi parassiti) e antibiotici. Per entrambe le categorie, oltre alla necessità della prescrizione veterinaria, sono previsti dei tempi di sospensione, ossia un intervallo che consenta l’eliminazione del principio attivo prima che l’animale arrivi al macello.

Un discorso particolare va fatto per gli antibiotici il cui controllo è fondamentale per evitare lo sviluppo di ceppi microbici resistenti.

Altra categorie di sostanze farmaceutiche utilizzate in zootecnia, ma vietate nell’unione europea, sono gli anabolizzanti. Si tratta per lo più di sostanze a carattere ormonale che contribuiscono al rapido aumento della massa muscolare dell’animale, ma che possono avere serie ripercussioni sulla salute umana e dell’animale stesso.

  1. Contaminazione da metalli pesanti; in genere si tratta di contaminazioni dovute all’inquinamento, ma che in alcuni casi possono essere dovute anche al rilascio di sostanze da parte dei contenitori e degli imballaggi (esempio cessione di piombo da parte di cristalli).

Tra i metalli più pericolosi troviamo per l’appunto il piombo, che per molto tempo è stato usato come additivo nelle benzine, il mercurio, il cadmio ed il cromo.

Le problematiche legate a questi metalli sono dovute oltre che alla loro tossicità intrinseca al fatto che si accumulano nei tessuti e quindi anche concentrazioni molto basse possono alla fine diventare pericolose man mano che si procede nella catena alimentare.

Contaminanti biologici degli alimenti

Nella terminologia comune con il termine microrganismo s’intende un insieme quelle che in realtà sono delle classi ben distinte di organismi:

virus

batteri

lieviti

muffe

protozoi

Senza avere la pretesa di fare una trattazione esaustiva (che si rimanda al corso di scienze biologiche) in termini molto semplicistici possiamo dire che:

  • i virus sono frammenti di acidi nucleici avvolti da una struttura proteica tanto da non poter essere completamente essere definibili come essere viventi.
  • I batteri (procarioti) sono organismi unicellulari che presentano alcune caratteristiche peculiari, ad esempio un particolare tipo di DNA, assenza del nucleo, modalità di riproduzione che in parte vedremo più avanti.
  • Organismi eucarioti: sono organismi che presentano una struttura cellulare simile a quella degli organismi superiori (cellule con nucleo e organelli specifici), tra questi troviamo.
  1. lieviti e muffe fanno parte dello stesso gruppo denominato Eumiceti con delle caratteristiche che vedremo più avanti.
  2. I protozoi

Ai fini di comprendere l’aspetto salutistico legato alle contaminazioni microbiologiche degli alimenti è opportuno chiarire subito la distinzione tra infezione e tossinfezione alimentare.

Si parla di infezione quando la patologia è causata dallo sviluppo numerico dei microrganismi all’interno dell’organismo che lo ospita, mentre si parla di tossinfezione quando il microrganismo ha prodotto delle tossine che sono poi ingerite.

Appare a questo punto evidente che:

– nelle tossinfezioni l’alimento rappresenta un substrato dove i microrganismi si sono sviluppati in numero sufficiente da produrre una quantità di tossine in grado di causare danni all’organismo,

– nelle infezioni l’alimento può comportarsi alla stregua di un vettore in grado di portare all’interno del nostro organismo dei microrganismi (può esserne sufficiente anche una quantità limitata pari alla cosiddetta dose infettante minima) che poi trovano un ambiente ideale per moltiplicarsi e causare delle malattie.

 E’ da notare che molto spesso le contaminazioni microbiche non sono accompagnate da alterazioni dei prodotti alimentari e che in molti casi esiste il fenomeno dei “portatori sani”, ossia individui, che pur privi dei sintomi della malattia, essendo infettati possono contaminare gli alimenti con cui vengono a contatto.

 Un discorso a parte riguarda le contaminazioni alimentari di organismi superiori (dai protozoi in su) che vengono in genere denominate infestazioni.

Caratterizzazione dei batteri

01batteri

Tra i criteri utilizzabili per classificare i microrganismi troviamo:

  • Esigenze alimentari primarie, autotrofi (utilizzano fotosintesi) o eterotrofi (si alimentano.)
  • Esigenze respiratorie: aerobi (necessitano di ossigeno), anaerobi forzati (muoiono con l’ossigeno), anaerobi facoltativi (possono vivere sia con che senza ossigeno.)
  • Resistenza alla temperatura: termofili (resistono a più di 40°C), mesofili (optimum temperatura tra 20-40°) e psicrofili (resistono fino a -10°C)
  • Resistenza all’ambiente salino (alofili)
  • Colorazione se sottoposti a specifici reattivi, Gram positivi, Gram negativi, questa suddivisione deriva dal diverso comportamento assunto dalle colonie batteriche dopo che sono state trattate con violetto di genziana e tintura di iodio (reattivo di Gram), i batteri gram + mantengono la colorazione, mentre i gram – la perdono. Questo comportamento è legato alla diversa natura della membrana cellulare dei due gruppi
  • Forma: cocchi (sferici), bastoncini, Spirilli (bastoncini ricurvi).
  • Mobilità (alcuni hanno ciglia o flagelli altri no)
  • Formazione di spore: sporigeni o asporigeni
  • altro

I batteri hanno misure che variano da qualche decimo di micron a qualche micron.

Pur essendo organismi monocellulari possono organizzarsi in associazioni di cellule (ad esempio  gli stafilococchi formano come dei grappoli).

Sono privi di un nucleo e presentano un particolare tipo di DNA diffuso nel loro citoplasma, non hanno neppure quegli organelli tipici degli eucarioti (corpi di Golgi, Vacuoli, Mitocondri …). La loro struttura è ricoperta da una parete cellulare  che è di diversa natura a seconda si abbia a che fare con gram positivi o gram negativi.

Alcuni batteri sono sporigeni, ossia producono una sorta di “semi” che possono svilupparsi dopo anche lunghe fasi di quiescenza.

La riproduzione dei batteri avviene in genere per scissione binaria.

Principali famiglie batteriche.

Facciamo una brevissima rassegna di alcune delle più importanti famiglie batteriche di un qualche interesse alimentare (in realtà sono molte di più)

  • FAMIGLIA PSEUDOMONADACEE,

sono bastoncelli mobili o immobili, gram negativi a metabolismo prevalentemente aerobio tra di essi troviamo:

1) Pseudomonas: con caratteristiche psicrofile attaccano i principali macronutrienti originando cattivi odori e sapori.

2) Acetobacter: responsabili dell’ossidazione dell’alcool in acido acetico.

  • FAMIGLIA DELLE ENTEROBACTERIACEE

sono bastoncini mobili o immobili, gram negativi anaerobi facoltativi che hanno il loro habitat prevalente nell’intestino degli animali (contaminazioni fecali). Alcuni di essi patogeni sono responsabili di molte gravi malattie (peste, colera, tifo …), tra di essi troviamo:

1) Colibatteri: (escherichia, klebsiella etc) sono i batteri a forma di bastoncini immobili chiamati in genere coliformi fecali, sono indice di contaminazione fecale e provocano oltre a possibili malattie (ad esempio dissenteria del viaggiatore) alterazioni legate a fenomeni fermentativi sugli alimenti.

2) Proteus: altamente proteolitico determina pesanti alterazioni negli alimenti, è un patogeno opportunista in caso di deficit del sistema immunitario può causare gravi malattie.

3) Salmonella: non provoca sostanziali alterazioni a carattere alimentare, ma è altamente patogeno, la forma enteritidis è quella più frequentemente coinvolta nelle tossinfezioni delle mense, ma nello stesso gruppo troviamo la salmonella tiphi, paratiphi e colerrae suis.

  • FAMIGLIA DELLA MICROCCOCCACEE
  1. sono cocchi immobili, gram positivi tendenzialmente aerobi, caratterizzati da una buona resistenza agli ambienti salini (alofili), tra di essi troviamo            Microccoccus, termodurico alofilo contribuisce in genere positivamente ai processi di maturazione di salumi e formaggi, alcune specie producono però pigmenti colorati che possono modificare la colorazione naturale dei prodotti alimentari
  2. Staphilococcus, gli stafiloccocchi si presentano in diverse specie alcune patogene altre utili, ad esempio staphilococcus pyogenes (agente della piorrea), staphiloccoccus aereus (provoca  tossinfezioni).
  • FAMIGLIA LACTOBACILLACEE

Rappresenta i cosiddetti batteri lattici ed è a sua volta suddivisibile in due gruppi:

Lattococchi di forma tondeggiante (streptococchi, pediococchi, leuconostoc …)

Lattobacilli a forma di bastoncini

Sono gram positivi, anaerobi facoltativi.

Alcuni conducono una fermentazione omolattica (prodotto finale solo acido lattico), altri fermentazioni eterolattiche.

I batteri lattici vengono impiegati in molte produzioni alimentari, ad esempio lo yogurt si produce grazie all’intervento dello streptococcus termophilus e del lactobacillus bulgaricus.

La loro azione non è però sempre positiva ed alcune specie del genere streptococcus sono addirittura patogene.

  • FAMIGLIA PROPIONOBACTERIACEE

Sono i cosiddetti batteri propionici, bastoncelli gram positivi immobili tra di essi il più comune è il proprionobacterium aerobio facoltativo che trasforma i carboidrati in acido propionico e CO2 (occhiatura dell’Emmenthal)

  • FAMIGLIA DELLE CORYNOBACTERIACEE

Sono cellule a bastoncino (in genere a forma di clava) gram positive asporigene molti delle quali patogene. Fa parte di questa famiglia l’agente della difterite.   Di un gruppo molto affine a quello della famiglia delle corinobacteriacee fanno parte anche i proattinomiceti (cellule batteriche con rudimentali miceli).

Tra i proattinomiceti troviamo il genere mycobacterium  costituito da specie termoduriche .

E’ interessante notare che in pratica il trattamento di pastorizzazione è “tarato” per garantire la scomparsa del mycobacterium tubercolosis che tra i patogeni potenzialmente presenti nel latte è il più termoresistente. Fanno parte dei proattinomiceti anche specie del genere Bifidobacterium che sono in grado di operare un fermentazione particolare del latte e per questo motivo vengono utilizzati per la produzione di latti fermentati diversi dallo yogurt (Kyr, Bio …)

  • FAMIGLIA DELLE BACILLACEE

Sono gram positivi sporigeni, che quindi danno problemi di resistenza ai trattamenti termici (le spore sono particolarmente termostabili).

Hanno il loro habitat preferito nel terreno ma possono facilmente passare agli alimenti. Vengono distinti a seconda del loro metabolismo in due generi

1) Bacillus (aerobi o anaerobi facoltativi) tra cui troviamo il Bacillus Antracis (agente del carbonchio) e il Bacillus Aureus (che provoca tossiinfezioni).

2) Clostridium (anaerobi stretti), in quanto anaerobi forzati traggono la loro energia con fenomeni fermentativi con sviluppo di gas (fermentazione aceton butilica). L’agente di questo genere che da maggiori problemi alterativi e il clostridium botulinum (agente del botulismo) il quale sviluppa una tossina neurotossica letale anche in piccolissime dosi.  Lo sviluppo di questo microorganismo è accompagnato dallo sviluppo di gas, quindi va prestata la massima attenzione alle confezioni di conserve non particolarmente acide che presentano rigonfiamenti. Purtroppo lo sviluppo di gas non è sempre osservabile per cui nel mondo si verificano diversi casi di intossicazione da botulino.

Anche il clostridium tetani (agente del tetano) e il clostridium Welchii (agente della cancrena gassosa) sono membri di questa classe microbica, ma hanno ovviamente minore interesse alimentare.

Caratterizzazione degli eumiceti (funghi muffe e lieviti)

muffellievit

Gli eumiceti (veri miceti) sono un gruppo di organismi eucarioti eterotrofi che vengono generalmente denominati comunemente come funghi.

Nel linguaggio comune come funghi si intende il corpo fruttifero macroscopico che alcune specie originano nei boschi e nei prati. Nella realtà la struttura reale del fungo è costituita da cellule non organizzate  in tessuti differenziati che nell’insieme costituiscono il TALLO.

Il tallo si manifesta sottoforma di filamenti ramificati chiamate IFE che può organizzarsi in un tessuto (MICELIO) a maglie più o meno strette (nei classici funghi a cappello il micelio si struttura in un tessuto a maglie molto strette).

Le cellule fungine appaiono molto simili a quelle vegetali, ma risultano prive di plastidi e quindi di clorofilla.

In alcuni funghi non c’è il micelio e le cellule appaiono isolate in questo caso si parla di LIEVITI.

Altri funghi che appaiono con una struttura filamentosa vengono comunemente denominati MUFFE.

In pratica (anche se non è da ritenersi corretto dal punto di vista scientifico):

– i funghi originano un corpo fruttifero macroscopico

– le muffe sono forme miceliari

– i lieviti sono forme unicellulari

In genere i lieviti presentano un metabolismo anaerobio facoltativo, mentre le muffe un metabolismo prevalentemente aerobio.

 

Principali famiglie di muffe e lieviti.

Anche in questo caso facciamo solo una piccola rassegna

Come abbiamo accennato le muffe presentano un metabolismo prevalentemente ossidativo per cui tendono a formarsi in ambienti areati.

Negli alimenti si manifestano prevalentemente con la formazione di “feltri” superficiali, andando ad alterare pesantemente sia l’aspetto che le caratteristiche organolettiche.

Così come per i batteri, alcune muffe vengono utilizzate espressamente per la produzione di alcuni alimenti è il caso ad esempio dei formaggi erborinati (ad esempio gorgonzola).

In questo caso vengono utilizzate specie del genere penicillum.

I maggiori problemi imputabili alle muffe sono i marciumi che colpiscono i prodotti freschi (frutta e verdura) riducendone di molto il tempo di conservazione e rovinando alcune colture.

Tra le famiglie di muffe ricordiamo:

Aspergillus: tra le quali specie l’aspergillus flavus può produrre su cereali delle aflatossine cancerogene

Botrytis: provoca marciume nella frutta

Fusarium: provoca diverse “malattie” nelle coltivazioni (patate, cipolle e pomodori)

Tra i lieviti la famiglia sicuramente più importante sono i saccaromiceti, tra essi troviamo il saccaromyces cerevisie (lievito di birra). Si tratta dei lieviti responsabili della fermentazione alcolica alla base della produzione di vino  e birra.

Ovviamente una contaminazione di questi lieviti non è sempre positiva ed è sempre in agguato in prodotti quali succhi di frutta o bevande zuccherate.

Tra i lieviti troviamo anche la Candida. A differenza dei saccaromiceti che sono anaerobi facoltativi, le candide sono unicamente aerobi. Il nome è dovuto alla formazione di una patina bianca associata al loro sviluppo. Sono responsabili di alterazioni a carico di insaccati, burro e bevande alcoliche ed anche di alcune malattie.

Principali malattie di origine alimentare

Salmonellosi: come abbiamo visto è causata da un gruppo di enterobatteri che sono particolarmente  frequenti nel tratto intestinale dei volatili (specie quelli acquatici come anitre e oche) , le uova per tanto sono alimenti particolarmente a rischio per questo tipo di malattia.03salmonella

La salmonellosi è dovuta a  una tossinfezione legata alla produzione di un enterotossina che provoca in tempi variabili, dalle poche ore ai tre giorni, tipici sintomi gastroenterici (vomito, diarrea e febbre) che di norma si risolvono in un paio di giorni, ma che possono diventare molto pericolosi soprattutto nei bambini e negli anziani.

Il problema principale di questa malattia è legata alla notevole frequenza di portatori sani ed al fatto che in genere gli alimenti contaminati non presentano segni di alterazioni e per tanto la salmonellosi può causare degli episodi epidemici anche molto estesi negli utenti di mense (soprattutto scuole e ospedali).

Tossinfezione da stafilococco:  si tratta di batteri della famiglia delle microccocacee praticamente  ubiquitari, in realtà solo pochi ceppi sono pericolosi (esempio lo staphiloccoccus aereus). 04safilococco

Gli stafiloccocchi possono produrre tossine particolarmente termoresistenti, e quindi essenziale prevenire il più possibile il loro sviluppo in quanto una volta liberate le tossine queste rischiano di restare nell’alimento nonostante trattamenti di risanamento termico.

Gi alimenti più a rischio sono in genere quelli che hanno subito molte manipolazioni e sono ricchi di grassi (carni macinate, insaccati, prodotti alla crema, gelati, prodotti ittici lavorati etc). La tossinfezione si manifesta rapidamente con i soliti sintomi gastrointestinali che scompaiono in un paio di giorni.

Tossinfezione da clostridium perfrigens: i clostridi come abbiamo visto sono degli anaerobi stretti  sporigeni, lo sviluppo delle tossine da parte di questi batteri è

 in genere accompagnato allo sviluppo delle spore05perfrigens

Il clostidium perfrigens ha delle spore termoresistenti per cui le contaminazioni di questo batterio sono in genere tipiche degli alimenti che vengono lasciati raffreddare lentamente prima di essere consumati. In queste condizioni infatti le spore che hanno resistito al trattamento termico hanno il tempo di germinare e di produrre una enterotossina termolabile.

Particolarmente a rischio sono quindi alimenti quali polpettoni, arrosti, stufati.

 I sintomi si manifestano dopo 8-12 ore dall’assunzione del pasto contenete le cellule nello stato vegetativo o dopo 2-3 ore se l’alimento contiene tossina preformata con fenomeni gastroenterici comuni.

I

Tossinfezione da clostridium botulinum: si tratta del batterio responsabile del botulismo, appartiene allo stesso gruppo del perfrigens con cui ha molte caratteristiche in comune (sporigeno, anaerobio forzato), ma con la fondamentale differenza che produce una neurotossina (e non una enterotossina) estremamente letale.

Come il suo parente perfrigens anche il botulinum non sopporta ambienti acidi e la tossina non viene prodotta se il pH del mezzo è inferiore a 4,6.

06botulino

Spesso, ma non sempre, lo sviluppo del botulino può produrre gas che rigonfiano il recipiente, va perciò evitato di aprire contenitori sospetti in quanto anche il contatto con piccole quantità dell’alimento contaminato può essere pericoloso (la pressione può provocare schizzi dell’alimento).

Gli alimenti più a rischio sono quelli in cui abbiamo un ambiente anaerobio e scarsa acidità (esempio conserve di acciughe, verdure etc), in particolare gli insaccati sono un habitat particolarmente adatto per questo microrganismo (in latino botulus  significa salsiccia), questo spiega come mai nei salumi vengano aggiunti i nitrati  (agenti ossidanti)  che pur  essendo cancerogeni sono particolarmente efficaci su questo patogeno. Gli effetti del botulino sono quelli tipici di una neurotossina che agisce sulle terminazioni nervose provocando paralisi muscolare e respiratoria.

Tossinfezione da Bacillus cereus: Si tratta di una tossinfezione molto simile a quella del clostridium perfrigens (clostridi  e bacillus fanno parte della stessa famiglia) che è in genere tipica di alimenti amidacei (riso, pasta, patate).

Bacillus cereus è in grado di produrre nella fase di crescita una enterotossina di natura proteica, inattivabile a 56 °C in 5 min e che viene distrutta a livello gastrico.

La patologia è quindi in genere dovuta all’ingestione delle  di cellule allo stato vegetativo e/o di spore (termoresistenti) che si sviluppano e liberano poi la enterotossina a livello dell’ileo.

A seconda del ceppo batterico si possono avere sindrome prevalentemente diarroiche  o sindromi prevalentemente emetiche (vomito).

Listeriosi: E’ dovuta alla Listeria monocytoges, un organismo a forma di bacillo mobile che può  causare gravi patologie (setticemie, meningiti e aborti) soprattutto agli individui debilitati.


07listeria

La caratteristica tipica della listeria è che uno psicrofilo in grado di riprodursi alla temperatura del frigorifero e resiste bene anche nei prodotti essiccati.

Tra gli alimenti che possono rappresentare un veicolo di listeriosi ricordiamo in particolare i formaggi a pasta molle, erborinati e a crosta fiorita, il latte crudo o non pastorizzato, il pesce, soprattutto affumicato, la carne e i vegetali crudi.

Malattie batteriche di natura orofecale: Si tratta di malattie per lo più causate da batteri della famiglie delle enterobacteriacee o similari (vibrionacee) che trovano il loro habitat ottimale nel tratto intestinale (il vibrio colera anche nei molluschi).

La contaminazione di questi batteri avviene per lo più con modalità orofecali legate a cattive condizioni igieniche in cui spesso l’acqua inquinata gioca un ruolo fondamentale.

Le sintomatologie sono in genere quelle tipiche delle patologie enteriche e la gravità in genere è legata alla rapida perdita di liquidi che può provocare collassi cardiocircolatori.

Rientrano in questo ambito:

–              Tifo e paratifo (salmonella typhi e paratyphi) febbre molto alta

–              Shigellosi (Shigella dysenteriae)

–              Colera (Vibrio colera)

shighella e vibrio

Tossinfezione da micotossine: Le micotossine rappresentano un gruppo eterogeneo di sostanze chimiche, altamente tossiche, prodotte dal metabolismo secondario di diverse specie di miceti e quindi di muffe. Le micotossine possono avere una azione tossica a livello di diversi organi bersaglio (reni, fegato), nei riguardi del sistema immunitario ed in alcuni casi (come ad esempio le aflatossine) essere cancerogene. Sono molto resistenti al calore e non vengono completamente distrutte dalle normali operazioni di cottura ed essere presenti anche quando il prodotto stesso non appare ammuffito.

La contaminazione è influenzata ampiamente dalle condizioni climatiche e dalle pratiche di coltivazione e di conservazione, e dal tipo di alimento, in quanto alcuni prodotti sono più suscettibili rispetto ad altri alla crescita fungina.

Le micotossine non si sviluppano solo sulle piante prima del raccolto (contaminazione da campo) ma praticamente in tutte le fasi della filiera alimentare.

Gli alimenti più esposti alla contaminazione sono soprattutto cereali, semi oleaginosi, frutta secca etc

Alcuni  effetti provocati dalle micotossine sulla salute dell’uomo, come ad esempio l’associazione tra ingestione di segale cornuta contaminata da Claviceps purpurea e comparsa del fuoco di Sant’Antonio,  sono noti da tempo, ma poiché alcuni tipi di micotossine hanno azione a lungo termine non è sempre stata facile l’associazione causa-effetto che esse determinano.

In effetti, solo alcune micotossine si sono finora dimostrate direttamente responsabili (o principali fattori) delle manifestazioni  di alcune gravi patologie, ma per molte altre i sospetti sono molto alti.

Tra le micotossine certamente responsabili di patologie troviamo le aflatossine.

Le aflatossine destano molte preoccupazioni in quanto contaminanti dell’alimentazione di larga parte della popolazione mondiale che vive nelle fasce tropicali.

Sono prodotte esclusivamente da alcuni ceppi di Aspergillus flavus e da quasi tutti i ceppi di Aspergillus parasiticus e sono essenzialmente delle epatotossine dotate anche di attività cancerogena

Patassitosi: si tratta di patologie a carattere in genere intestinale causate da organismi pluricellulari, in particolare protozoi o elminti (vermi).

Essendo patologie a carattere enterico la contaminazione avviene per lo più per via orofecale anche se a volte relativamente complessa.

Ad esempio la contaminazione di elminti può implicare l’intervento di più soggetti in quanto l’organismo parassita si presenta in diverse fasi di sviluppo ognuna delle quali ha un ospite diverso.

E’ il caso della  teniasi (“verme solitario”) nella quale si assiste ha un ciclo vitale che interessa oltre all’uomo suini o bovini.

Le uova della tenia restano vitali per lungo tempo nel terreno e vengono assunte dall’animale (ospite intermedio) schiudendosi a livello intestinale e liberando delle larve.

tenia

Queste larve passano dall’intestino alla circolazione sanguinea dell’animale ed incistandosi nei sui tessuti.

Con il consumo di carni infestate (poco cotte o crude) le larve raggiungono l’intestino umano (ospite definitivo) dove sviluppano un verme. L’uomo con le sue feci libererà nell’ambiente nuove uova perpetuando il ciclo .

Il verme della tenia si può sviluppare nell’organismo umano per anni raggiungendo misure fino a 12 metri.

Se la causa principale delle elmintiasi è la contaminazione orofecale, la ragione principale del loro effetto nel nostro organismo è l’assunzione di cibi crudi o poco cotti  in quanto una buona cottura è in genere sufficiente per uccidere le cisti o le larve.

Un caso particolare che si sta sviluppando sempre di più nei Paesi occidentali a seguito della forte tendenza al consumo di sushi è l’anisakidosi .

L’anasakis è un verme cilindrico (nematode) che contamina molti pesci, che provoca gravi patologie a carico dell’apparato digerente, il consumo di pesce crudo è quindi particolarmente a rischio.  anasakis

Per questo motivo una circolare del ministero di sanità del 1992, obbliga chi somministra pesce crudo o in salamoia (il limone e l’aceto non hanno alcun effetto sul parassita) ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento preventivo. Infatti l’anisakis e le sue larve muoiono se sottoposti per 96 ore a -15° C, 60 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C.

Come accennato si possono avere anche parassitosi dovute a protozoi, è il caso ad esempio della Giardiasi e dell’Amebiasi, in questo caso il ciclo orofecale è in genere più semplice e passa quasi sempre dal consumo di acqua contaminata.

Epatite A: si tratta di una grave patologia a carico del fegato di origine virale. E’ una malattia diffusa in tutto il mondo che si diffonde per ciclo orofecale attraverso l’assunzione di cibi contaminati.   epatA

La malattia si manifesta con un periodo di incubazione che può superare il mese e non è raro il caso di infezioni asintomatiche con sviluppo di portatori sani.

Essendo una malattia di origine virale non ha una terapia antibiotica, può essere quindi indicata una specifica vaccinazione nel caso si vada in zone dove risulta endemica.

I rischi di infezione possono essere ridotti drasticamente seguendo le corrette norme igieniche ed evitando di consumare cibi non cotti e acqua contaminata.

Poiché il danno epatico provoca la liberazione di un pigmento (bilirubina) , la malattia è spesso accompagnata dalla colorazione giallastra dell’individuo  (ittero).

Encefalopatia spongiforme bovina (BSE) o morbo della mucca pazza:  E’una patologia irreversibile , con sintomi a lungo periodo di incubazione  a carico del sistema nervoso.

Si tratta principalmente di una zoonosi (malattia trasmessa da animale a uomo).

La malattia è dovuta a particolari proteine chiamate prioni, il fatto che delle proteine (quindi molecole) potessero essere causa di una patologia di tipo infettivo è stata considerata una grande scoperta dal punto di vista scientifico, ma che non è stata ancora del tutto chiarita nei suoi aspetti più dettagliati. L’ipotesi più verosimile è che i prioni abbiano una struttura primaria analoga ad altre proteine , ma differente struttura tridimensionale (non vengono individuati dal sistema immunitario).  Quando un prione si avvicina ad una proteina similare ne determina una modifica strutturale che causa la perdita della funzione biochimica. Si ha quindi un effetto a catena che causa la patologia. I prioni sono difficilmente denaturabili a livello termico e per tanto la migliore precauzione è quella di evitare il consumo di organi degli animali che possono essere “infettati” in particolare  il cervello, il midollo spinale e tonsille di bovini di età superiore all’anno.

 

Il controllo sulla sicurezza dei prodotti alimentari

(con riferimento a http://www.salute.gov.it/)

Abbiamo visto come le varie forme di contaminazione degli alimenti possano avvenire lungo l’arco di tutta la filiera alimentare.

Non dobbiamo inoltre  dimenticare che in aggiunta a fenomeni di contaminazione diretta (contaminante – alimento) o indiretta (contaminante –vettore – alimento) un qualunque fenomeno di contaminazione  crociata (esempio utensile usato per tagliare la carne cruda impiegato anche per tagliare la carne cotta) può vanificare tutte le procedure di sanificazione fino a quel momento.

Sulla base di queste considerazioni è facile dedurre che parlando di sicurezza degli alimenti dobbiamo riferirci a delle pratiche che si articolano su tutte le fasi della trasformazione delle materie prime in prodotto al consumo.

Uno dei più recenti cardini su cui si basa la sicurezza alimentare è rappresentato dalla procedure obbligatorie di autocontrollo basate sui principi dell’Hazard Analysis Critical Control Point (HACCP).

Si tratta di un sistema internazionale che si basa sull’analisi dei rischi e lo sviluppo di azioni correttive lungo tutte le fasi della lavorazione di un prodotto alimentare in altre parole un sistema che consente di applicare l’autocontrollo in maniera razionale e organizzata e che è obbligatorio solo per gli operatori dei settori post-primari.

La normativa attualmente vigente fa capo al regolamento CE 178/2002 e al regolamento CE 852/2004.

Questi regolamenti hanno esteso notevolmente la varietà di prodotti alimentari e le procedure applicate agli alimenti e per tanto la Commissione Europea ha redatto delle linee guida generali che forniscono indicazione su una applicazione semplificata delle prescrizioni in materia di HACCP soprattutto rivolte alle piccole imprese alimentari nelle quali l’attuazione di questo tipo di autovalutazione può risultare complessa.

In aggiunta a ciò sono stati resi disponibili  dei Manuali di Corretta Prassi Igienica (Good Hygiene Practice o GHP) , che costituiscono documenti orientativi voluti dalla normativa comunitaria ed utilizzabili come guida all’applicazione dei sistemi di autocontrollo.

Testo integrale Linee guida generali

Consulta i Manuali GHP validati.

Le linee guida si dividono in due allegati, nel primo vengono descritte le modalità di applicazione  dei sette principi del sistema, mentre nel secondo si forniscono indicazioni su un’applicazione semplificata delle prescrizioni in materia di HACCP in particolare nelle piccole imprese alimentari.

I principi del sistema HACCP possono essere applicati in tutta la filiera produttiva, dalla produzione primaria al consumo finale.

Oltre che a promuovere la sicurezza degli alimenti, l’attuazione dei principi del sistema HACCP può consentire di cogliere altri significativi benefici, come promuovere gli scambi internazionali accrescendo la fiducia nei confronti della sicurezza alimentare.

 Presupposti fondamentali per il successo nell’applicazione dei principi del sistema HACCP sono un forte impegno e il coinvolgimento della dirigenza e dei dipendenti di un’impresa.

Ancora prima all’applicazione dei principi del sistema HACCP in una qualsiasi impresa gli operatori del settore alimentare dovrebbero aver attuato le prescrizioni di base in materia di igiene degli alimenti.

Lo scopo del sistema HACCP è quello di focalizzare i controlli sui punti critici di controllo (CCP) e la sua  applicazione  dovrebbe  essere  riveduta  e  se  necessario modificata ogni qualvolta venga introdotta una modifica a livello di prodotto o di processo

Per elaborare un piano HACCP bisogna seguire sette principi:

  1. Identificare ogni pericolo da prevenire, eliminare o ridurre
  2. Identificare i punti critici di controllo (CCP – Critical Control Points) nelle fasi in cui è possibile prevenire, eliminare o ridurre un rischio
  3. Stabilire, per questi punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità dalla inaccettabilità
  4. Stabilire e applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo
  5. Stabilire azioni correttive se un punto critico non risulta sotto controllo (superamento dei limiti critici stabiliti)
  6. Stabilire le procedure da applicare regolarmente per verificare l’effettivo funzionamento delle misure adottate
  7. Predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare.

Applicazione dei sette principi 

 

  1. Identificare ogni pericolo da prevenire, eliminare o ridurre (analisi dei rischi)

1.1.        Costituzione di un’équipe multidisciplinare (équipe HACCP)

Tale équipe, comprendente tutti i componenti dell’impresa alimentare che intervengono nella realizzazione del prodotto, deve riunire l’intera gamma di competenze e conoscenze specifiche appropriate per il prodotto considerato eventualmente coadiuvati da esperti.

–       in grado di comprendere i pericoli biologici, chimici o fisici inerenti a un particolare gruppo di prodotti;

–       che hanno responsabilità in merito al processo tecnico di fabbricazione del prodotto considerato o vi sono strettamente associati;

–       in possesso di conoscenze dirette sull’igiene e sul funzionamento degli impianti e delle attrezzature di produzione;

–       qualsiasi  altra  persona  con  conoscenze  specialistiche  nel  campo  della microbiologia, dell’igiene o delle tecnologie alimentari.

1.2.        Descrizione del prodotto

Va fornita un’ampia descrizione del prodotto incluse le pertinenti informazioni in materia di sicurezza quali:

  • composizione (ad esempio, materie prime, ingredienti, additivi, ecc.);
  • struttura   e   caratteristiche   fisico-chimiche   (ad   esempio,   prodotto   solido, prodotto liquido, gel, emulsione, tasso di umidità, pH, ecc.);
  • trattamento (ad esempio, riscaldamento, congelazione, essiccazione, salatura, affumicatura, ecc. e in quale misura);
  • confezionamento (ad esempio, imballaggio ermeticamente chiuso, sottovuoto, in atmosfera modificata)…

1.3.        Individuazione dell’uso previsto

L’équipe HACCP deve anche definire l’impiego normale o prevedibile del prodotto da parte del consumatore e il target di consumatori cui il prodotto è destinato.

1.4.        Realizzazione   di   un   diagramma   di   flusso

Tutte le fasi del processo, inclusi i tempi morti tra o durante le fasi, dal ricevimento delle materie prime all’immissione del prodotto finale sul mercato, vanno esaminate in sequenza e presentate in un diagramma di flusso dettagliato unitamente a sufficienti dati tecnici quali:

  • configurazione dei locali di lavoro e impianti
  • sequenza di tutte le fasi del processo (inclusa l’incorporazione delle materie prime, degli ingredienti o degli additivi e scarti temporali durante o tra le fasi);
  • parametri tecnici delle operazioni (in particolare tempo e temperatura, inclusi i tempi morti);
  • flusso dei prodotti (incluse le potenziali contaminazioni incrociate);
  • separazione delle aree pulite da quelle sporche (oppure delle zone a basso rischio da quelle ad alto rischio).

Il diagramma di flusso deve essere confermato nel corso delle ore di funzionamento dell’impianto. Qualsiasi scostamento osservato deve tradursi in una modifica al diagramma di flusso originario, onde migliorarne l’accuratezza.

1.5         Elenco dei pericoli e delle misure di controllo

Vanno ricercati tutti i potenziali pericoli biologici, chimici o fisici che è ragionevole aspettarsi in ciascuna fase del processo (inclusi l’acquisto e la conservazione delle materie prime e degli ingredienti e i tempi morti nel corso della produzione).

L’équipe HACCP deve procedere poi a un’analisi dei pericoli per individuare quali presentano una natura tale da rendere fondamentale per la produzione di un alimento sano la loro eliminazione o riduzione a livelli accettabili.

Nell’effettuare l’analisi dei pericoli va tenuto conto di quanto segue:l

  • la probabile occorrenza dei pericoli e la gravità delle loro ripercussioni sulla salute;
  • la valutazione qualitativa e/o quantitativa della presenza di pericoli;
  • la   sopravvivenza   o   la   moltiplicazione   di   microrganismi   patogeni;
  • la  produzione  o  la  persistenza  negli  alimenti  di  tossine  o  di  altri  prodotti indesiderati del metabolismo microbico, di prodotti chimici o agenti fisici o allergeni;
  • la contaminazione (o la ricontaminazione) di natura biologica (microrganismi, parassiti), chimica o fisica delle materie prime, dei prodotti intermedi o dei prodotti finali.

Le misure di controllo sono quelle azioni e attività che possono essere utilizzate per prevenire  i  pericoli,  eliminarli  o  ridurne  l’incidenza  o  l’occorrenza  a  livelli accettabili.

Per controllare un pericolo individuato possono essere necessarie molteplici misure di controllo e, al contrario, una singola misura di controllo può controllare molteplici pericoli: ad esempio, la pastorizzazione o il trattamento termico controllato possono offrire sufficienti garanzie di riduzione del livello sia della Salmonella sia della Listeria.

Le misure di controllo devono essere supportate da procedure dettagliate e da specifiche per garantirne l’efficace applicazione: ad esempio, programmi dettagliati di pulizia, precise specifiche in materia di trattamento termico, concentrazioni massime di conservanti utilizzati in conformità alle norme comunitarie applicabili.

  1. Identificare i punti critici di controllo (CCP – Critical Control Points)

L’individuazione di un punto critico per il controllo di un pericolo richiede un approccio logico.

In sintesi vanno individuate nel diagramma di flusso, sulla base delle conoscenze di cui dispone e delle esperienze acquisite, dei punti nei quali in relazione a ciascun pericolo, di cui si può ragionevolmente prevedere l’occorrenza,  l’introduzione di specifiche misure di controllo (esempio dopo la fase di lavaggio della frutta un punto di controllo su eventuali residui metallici ancora presenti).

  1.           Stabilire, per questi punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità dalla inaccettabilità

Ciascuna misura di controllo associata a un punto critico di controllo dovrebbe dare origine all’individuazione di limiti critici.

I limiti critici corrispondono ai valori estremi accettabili con riguardo alla sicurezza dei prodotti. Essi differenziano l’accettabilità e l’inaccettabilità e sono fissati per parametri osservabili o misurabili che possono dimostrare che il punto critico è sotto controllo.

Tali limiti dovrebbero essere basati su elementi probanti che i valori prescelti si tradurranno in un controllo del processo.

Tra gli esempi di tali parametri figurano: temperatura, tempo, pH, tenore di umidità, livello di additivi, di conservanti o di sale, parametri sensoriali quali l’aspetto visivo o la consistenza, ecc. (esempio quantitativo di metalli dopo lavaggio frutta  = 0)

Quando non li ricava da norme regolamentative o da manuali di corretta prassi igienica, l’équipe dovrebbe valutarne la validità in relazione al controllo dei pericoli individuati nei CCP.

  1. Stabilire e applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo

Un elemento fondamentale del sistema HACCP è costituito da un programma di osservazioni o di misurazioni realizzate in ciascun punto critico per garantire la conformità a determinati limiti critici.

Le osservazioni o le misurazioni devono permettere di individuare la perdita di controllo  nei  punti  critici  e  fornire  informazioni  tempestive  onde  consentire l’adozione di misure correttive.

Il programma dovrebbe descrivere i metodi, la frequenza delle osservazioni o delle misurazioni e la procedura di registrazione e individuare ciascun punto critico:

  • chi deve effettuare il monitoraggio e il controllo,
  • quando viene effettuato il monitoraggio e il controllo,
  • con quali modalità è effettuato il monitoraggio e il controllo.
  1. Stabilire azioni correttive se un punto critico non risulta sotto controllo

Per ciascun punto critico di controllo l’équipe HACCP deve prevedere in anticipo misure correttive in modo che queste possano essere adottate senza esitazioni quando il monitoraggio rilevi uno scarto rispetto al limite critico.

Tali misure correttive devono includere:

  • l’individuazione della persona o delle persone responsabili per l’adozione della misura correttiva;
  • la descrizione dei mezzi e delle misure necessari per correggere l’anomalia osservata;
  1.           Stabilire le procedure da applicare regolarmente per verificare l’effettivo funzionamento delle misure adottate

L’équipe  HACCP  deve  specificare  i  metodi  e  le  procedure  da  utilizzare  per determinare se il sistema HACCP funziona correttamente o meno.

Tra i metodi di verifica possono figurare in particolare analisi e campionamenti casuali, analisi approfondite o test in determinati punti critici, analisi intensificate di prodotti intermedi o finali, indagini sulla condizione effettiva durante lo stoccaggio, la distribuzione e la vendita e sull’uso effettivo del prodotto.

Tali verifiche vanno sempre applicate nel caso ci siano modifiche ad esempio tra le materie prime utilizzate, le condizioni di trasformazione, programmi di pulizia etc

  1. Predisporre documenti e registrazioni adeguati

Una  registrazione  efficace  ed  accurata  è  fondamentale  per  l’applicazione  di  un sistema HACCP. Le procedure basate sui principi del sistema HACCP devono essere documentate.

 La documentazione e le registrazioni devono essere appropriate alla natura e all’entità delle operazioni e sufficienti a permettere all’impresa di verificare che i controlli HACCP sono predisposti e mantenuti.

I documenti e le registrazioni vanno conservati per un periodo di tempo sufficiente a consentire alle autorità competenti di verificare il sistema HACCP.

Sussidi sviluppati da esperti in materia di HACCP (ad esempio, manuali specifici per il settore) possono essere utilizzati quale componenti della documentazione a condizione che essi rispecchino le operazioni specifiche dell’impresa. I documenti vanno firmati da un esponente dell’impresa responsabile per la revisione.

Esempi di documentazione:

  • analisi dei pericoli;determinazione dei CCP;
  • determinazione dei limiti critici; modifiche del sistema HACCP

Esempi di registrazioni:

  • attività di monitoraggio dei CCP;
  • anomalie e connesse misure correttive;
  • attività di verifica.

I sette principi del sistema HACCP costituiscono un modello pratico per individuare e controllare i pericoli significativi su base permanente.

Ciò implica che, allorché tale obiettivo può essere conseguito mediante strumenti equivalenti che sostituiscono in maniera più semplice ma altrettanto efficace i sette principi, si considera che l’obbligo sancito dall’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 852/2004 è soddisfatto.

Questa affermazione risulta particolarmente appropriata in particolare nelle piccole imprese alimentari

Ciò significa che gli operatori del settore alimentare devono disporre di un sistema per individuare e controllare su base permanente i pericoli significativi e adeguare tale sistema ogni qualvolta necessario.

Ciò può essere ottenuto, ad esempio, mediante la corretta applicazione di prescrizioni di base e di corrette prassi igieniche, applicando i principi del sistema HACCP (possibilmente in maniera semplificata), utilizzando manuali di corretta prassi operativa o attraverso una loro combinazione.

Tali prescrizioni sono dirette a controllare i pericoli in maniera generale e sono chiaramente sancite dalla legislazione comunitaria e possono essere integrate da manuali di corretta prassi operativa redatti dai diversi settori alimentari.

I manuali di corretta prassi operativa costituiscono uno strumento semplice ma efficace per superare le difficoltà che talune imprese alimentari possono incontrare nell’applicazione di una dettagliata procedura basata sui principi del sistema HACCP.

I rappresentanti dei diversi settori alimentari, in particolare di quei   settori  in   cui   molte  imprese   incontrano   difficoltà   nello   sviluppare procedure basate sui principi del sistema HACCP, dovrebbero valutare l’opportunità di redigere tali manuali e le autorità competenti dovrebbero incoraggiare  i  rappresentanti  dei  settori  a  svilupparli.

Tali manuali dovrebbero mettere in luce i possibili pericoli connessi a taluni alimenti (ad esempio le uova crude e la possibile presenza in essi di Salmonella), nonché i metodi di controllo della contaminazione degli alimenti (ad esempio, l’acquisto di uova crude da una fonte affidabile e le combinazioni di tempo e temperatura per il loro trattamento).

 
 

Sistema HACCP,  certificazioni e controlli.

La legislazione comunitaria non prescrive la certificazione delle procedure basate sui principi  del  sistema  HACCP,  ad  esempio attraverso  programmi  di  assicurazione qualità.

Qualsiasi   iniziativa   in   direzione   di   una   siffatta   certificazione  è esclusivamente autonoma.

In questo ambito rientrano le certificazioni ISO (International Organization for Stardardization) che vengono rilasciate su richiesta delle aziende previo controlli operati da enti certificati

L’unica valutazione prevista dalla normativa comunitaria è una valutazione effettuata dalle competenti autorità negli Stati membri nel contesto dei loro normali obblighi di controllo.

In Italia la sicurezza alimentare è affidata a diversi organismi (Ministero della salute e Regioni) attraverso strutture quali:

–              ASL

–              NAS

–              Organi di polizia giudiziaria e amministrativa.

Nel 2000 la Commissione Europea ha emanato “il libro bianco sulla sicurezza alimentare” un testo che dovrebbe diventare su cui basare le discipline in materia emanate dai vari Paesi membri dell’Unione Europea.

Tra i punti fondamentali inseriti in questo testo troviamo:

–              L’istituzione di una Autorità Europea atta ad emanare pareri scientifici in materia di sicurezza alimentare ed evitare così che logiche di mercato possano interferire con la pubblicazione e l’interpretazione di studi scientifici

–              Il principio di rintracciabilità, ossia la possibilità per qualsiasi alimento di ricostruire tutta la sua storia “from farm to fork”

Inoltre va ricordato che a livello europeo vengono riconosciute delle certificazioni  per prodotti di qualità tutelati a livello comunitario con un disciplinare di produzione, in particolare:

  • DOP (Denominazione di Origine  Protetta)
  • IGP (Indicazione Geografica Protetta),

La DOP è destinata ad alimenti che presentano tutto il processo produttivo, compreso l’approvvigionamento della materia prima, avviene in un territorio geografico specifico e di dimensioni contenute

Per l’IGP è invece sufficiente che una sola fase produttiva sia legata ad uno specifico territorio.

E’ DOP il Parmigiano Reggiano in quanto il latte, le vacche e l’intera produzione avviene in un’area specifica.

E’ IGP la piadina romagnola in quanto gli ingredienti (farina, strutto etc) non devono essere necessariamente prodotti nell’area geografica nella quale avviene la cottura

 
 

Gli OGM

Gli OGM: Organismi Geneticamente Modificati, sono frutto dei più recenti sviluppi dell’ingegneria genetica.

Oggi sappiamo che tutte le informazioni genetiche sono contenute nel DNA (acido desossiribonucleico).

Questa macromolecola è costituita da sequenze di quatto specie (Adenina, Guanina, Timina e Citosina) di unità più semplici (nucleotidi) .

L’ordine con cui queste 4 specie di molecole si ripetono nella sequenza del DNA sono alla base della codificazione genetica.

Nel DNA possiamo distinguere delle sequenze di nucleotidi che codificano una specifica informazione genetica che viene definita “gene”, mentre l’insieme dei geni nel DNA viene definito “genoma”

Poiché gli organismi viventi non hanno tutti gli stessi geni, il principio dell’ingegneria genetica è proprio quello di prelevare un gene utile (da un organismo) e di trasferirlo nel DNA di un altro organismo, che a questo punto acquisirà e potrà tramandare alla sua discendenza la caratteristica positiva ottenuta.

La tecnica adottata per avere questo risultato si chiama tecnica del DNA ricombinante che prevede quattro fasi (in alcuni casi sono sufficienti le prime due):

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  1. Frammentazione del DNA ed isolamento del gene:  Nei batteri sono stati scoperti dei particolari enzimi chiamati  “Enzimi di Restrizione” in grado di tagliare il DNA in differenti sequenze nucleotidiche specifiche.

Invece di tagliare le molecole in maniera netta, alcuni enzimi di restrizione lasciano delle estremità coesive. Un qualsiasi DNA tagliato con questi enzimi può essere facilmente attaccato a un’altra molecola di DNA tagliata dallo stesso enzima.

Attraverso questa procedura  è possibile isolare il gene che si vuole trasferire, separandolo dal restante DNA

  1. Inserimento del gene isolato in un vettore molecolare; un vettore molecolare è un virus di tipo batteriofago o un plasmide (molecole circolari di DNA a doppio filamento auto replicanti, in quanto si duplicano in maniera indipendente dal genoma del batterio che li ospita)
  1. Replicazione del gene nel batterio ospite: attraverso il vettore molecolare si “contamina” uno specifico batterio che riproducendosi replicherà il gene isolato,
  1. Trasferimento del gene nella cellula vegetale o animale di ultima destinazione: può avvenire con diverse tecniche che non sono oggetto di questo corso.

Vengono definite transgeniche le forme viventi in cui sono presenti dei frammenti di DNA estraneo.

Il potenziale insito nelle tecniche di ingegneria genetica sullo sviluppo biomedico è stato compreso piuttosto rapidamente .

Il primo esempio di produzione industriale di un farmaco ricombinante è stata l’insulina.

In passato questo ormone veniva purificata con bassa resa da pancreas di maiali o altri animali e poteva provocare gravi reazioni da parte del sistema immunitario, oggi l’insulina viene ottenuta grazie all’ingegneria genetica dal batterio dell’Escherichia coli.

Seda un lato l’utilizzo dell’ingegneria genetica è passato senza grossi problemi nell’ambito biomedico, l’utilizzo degli OGM ha aperto una grossa polemica nell’ambito delle produzioni agronomiche.

Questa disputa è sicuramente favorita del diverso approccio seguito dai Paesi mondiali nell’adottare delle linee di sicurezza alimentare, mentre i Paesi europei seguono infatti un principio di cautela ( la sicurezza va applicata  non solo quando gli effetti potenzialmente pericolosi di un fenomeno, di un prodotto o di un processo sono stati identificati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, ma anche allorché questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza) , altri Paesi, in particolare gli USA, adottano un principio di equivalenza sostanziale (un alimento è ritenuto sano se è considerato sostanzialmente equivalente a uno già esistente).

In questo paragrafo prenderemo in considerazione alcune valutazioni pro e contro l’uso degli OGM.

Le tesi pro OGM evidenziano i seguenti punti principali:

  • Non è vero che tutti gli OGM siano pericolosi
  • In taluni casi i vantaggi all’uso degli OGM sono senza dubbio superiori agli svantaggi, ad esmpio lo sviluppo genetico di specie di cereali immuni a contaminazioni fungine limita il rischio di tumori dovuti a micotossine
  • Attraverso gli OGM si può supperire a carenze vitamiche di popolazioni di Paesi in via di sviluppo.
  • Si possono ottenere notevoli miglioramenti delle caratteristiche organolettici di diversi prodotti.
  • Si possono ridurre i trattamenti antiparassitari.
  • Si può ridurre lo sfruttamento del terreno
  • Si possono ottenere prodotti meno cari.
  • E’ in ogni caso stupido attuare una impostazione totalmente critica verso le nuove tecnologie prescindendo dagli aspetti positivi che esse hanno o che lasciano intravedere.

Le tesi contro OGM si basano invece sulle seguenti voci:

  • Non ci sono prove del fatto che gli OGM siano innocui ed in ogni caso possono sempre causare fenomeni di allergia difficilmente prevedibili dal consumatore (esempio presenza di un gene proveniente da un allergene in un alimento che il consumatore ritiene sicuro).
  • Esiste la possibilità che le caratteristiche di resistenza dell’OGM si trasferiscano a dei microrganismi rendendoli ad esempio resistenti a particolari antibiotici.
  • Creare dei vegetali più resistenti a fitofarmaci innesca meccanismi di selezione naturale che portano allo sviluppo di insetti o erbe infestanti ancora più difficili da estirpare.
  • L’uso degli OGM riduce la biodiversità è rende il sistema più soggetto a fenomeni di estinzione dovuti allo sviluppo di agenti patogeni che possono diffondersi rapidamente non trovando soggetti immuni.
  • Gli OGM legano gli agricoltori alle logiche delle multinazionali che li producono , che possono applicare logiche di monopolio ed imporre quindi facilmente i loro prezzi.
  • Gli OGM possono ibridizzare delle specie non OGM contribuendo alla perdita delle caratteristiche di specie locali e rendendo estremamente difficile che in commercio non si ritrovino prodotti trangenici.

La materia degli Ogm viene disciplinata a livello europeo da una direttiva del 2001 e due Regolamenti del 2003. Tali disposizioni stabiliscono il procedimento di autorizzazione per l’approvazione di un nuovo Ogm e dettano le regole per l’etichettatura e la tracciabilità degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati

Sulla base di queste normative i prodotti contenenti OGM devono riportare sull’etichetta la dicitura “questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati”  nel caso essi risultino presenti sopra il 0,9% (OGM autorizzati) o sopra lo 0,5% (OGM non autorizzati)

Nel gennaio 2015 attraverso una Direttiva comunitaria, questo settore è stato rivoluzionato,  fino a questa data infatti,  nessuno Stato membro poteva vietare la produzione di Ogm nel proprio territorio, poiché ciò avrebbe significato contravvenire alla normativa europea.

La nuova travagliata Direttiva, per la prima volta sancisce il diritto degli Stati membri di limitare o proibire la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale, anche se questi sono autorizzati a livello europeo.

Su questa linea sembra indirizzata l’Italia che ha già prorogato il Decreto che nel 2013 aveva vietato, in via eccezionale e temporanea, la coltura del mais geneticamente modificato sul nostro territorio.